Federica Seneghini ha intervistato il nostro Gianni
Zanni nella rivista
aam Terra Nuova nel numero di novembre
2008, il numero 233.
Permacultura su grande scala
Progettista accreditato in permacultura presso l'Accademia Italiana
di Permacultura, nel corso della sua vita Zanni è riuscito a coniugare
“i saperi e le pratiche appresi in arbicoltura, con i metodi sostenibili
della permacultura, trasformando la sua azienda in una sorta di fattoria
“intelligente”. A circa 700 metri sul livello del mare, nel Comune
di Vergato, vicino Bologna, l’azienda di Zanni è tutt’oggi uno dei
pochi luoghi in cui le tecniche di permacultura vengono applicate
su larga scala.
“Sono nato in campagna e fino agli undici anni guardavo la natura
e avevo il mio piccolo angolo di paradiso. Per me quella era l’unica
cosa sublime e meravigliosa”, dice Zanni, che si occupa di agricoltura
e arboricoltura da più di tren’anni. Un vita passata a lavorare sugli
alberi e con gli alberi, portando avanti attività di permacultura
e l’applicazione della scoperte d Alex Shigo, maestro e modello.
Zanni, quando è avvenuto l’incontro con la permacultura?
Nel 2000. E’ stato in quell’anno infatti che ebbi per la prima
volta occasione di partecipare a un non meglio identificato corso
per pratiche relative all'agricoltura, presso una Scuola di
Agraria.
Dopo appena 2 anni da quell’incontro con la permacultura, si materializzava
il vecchio sogno di una fattoria coltivata “in modo intelligente”.
A che punto è il progetto?
Ancora in cantiere, direi. Anche se oggi si stende su circa sei
ettari di terreno. Ho messo a dimora un frutteto, mezzo ettaro di
frutti minori oltre ad un orto con produzione di pomodori e carciofi
per la trasformazione e la vendita diretta. Inoltre ho realizzato
una serie di opere di ripristino ambientale, tra cui una grotta per
pipistrelli, stagni, siepi e alberi produttivi aderenti al concetto
di colture permanenti. Infine ho ripristinato una zona smottamenti
utilizzando alberi al posto delle gabbie e compattando le argille.
Quale è l’obiettivo ultimo del progetto?
L’attività è principalmente rivolta alla creazione di un ecosistema,
in grado di includere piante, animali, terreni ed energia. Ciò sta
avvenendo gradualmente in quanto è necessario preparare i terreni
prima della messa a dimora delle piante. Cinque ettari sono stati
recintati per tenere fuori gli ungulati. Gli attrezzi agricoli a
disposizione sono pochi e sono utili soprattutto nella prima fase
dei lavori. Inoltre non sono chiaramente previsti trattamenti o concimazioni
chimiche.
Quali sono le principali differenze tra l’agricoltura convenzionale?
L’agricoltura convenzionale in montagna evidenzia più velocemente
i danni causati all’ambiente rispetto a quello che succede in pianura;
i campi perdendo la fertilità innescano fenomeni erosivi, le argille
si compartano e scivolano lentamente creando i classici corrugamenti.
Sfruttati per 30 anni vengono poi abbandonati. Per questo ho molta
difficoltà a fare paragoni con questo tipo di agricoltura, se tale
si può chiamare. Parlando di agricoltura, parliamo di cibo, quando
il cibo è sano anche le nazioni lo sono, cioè la gente che vi abita.
Nel mio caso l’azienda evolve e cambia con lunghe stasi e salti
repentini. Le diverse azioni ricalcano l’ infinita capacità di relazioni
osservabili negli ecosistemi. Una coscienza diversa nell’agricoltore
influenza una diversa evoluzione nell’azienda: questo è quello che
ho finito per accettare dopo lunghe osservazioni ed esperienze a
contatto con alberi e terreni.
Quanto è conosciuta la permacultura in Italia?
In diversi Paesi europei esistono Accademie di Permacultura che
curano la formazione e la diffusione delle pratiche in ambito agricolo,
ma applicabili anche nel proprio orto, all’interno delle città e
addirittura sui propri balconi. In Italia questo tipo di attività
attrae e interessa molte persone, anche sotto la spinta dei problemi
e dei pericoli incombenti sul cibo, sulle persone e sull’ambiente,
oltre allo scollamento delle relazioni all’interno della società.
Un interesse che però è fortemente ostacolato da notevoli difficoltà
di ordine economico: acquistare la terra costa molto e rende poco
se si tratta di un’azienda agricola. Anche portare avanti queste
pratiche nel proprio giardino, terrazzo, e/o nei propri stili di
vita non è una cosa semplice.
Come si trasforma un’azienda tradizionale di piccole dimensioni
rendendola più sostenibile?
È una domanda che i visitatori della fattoria mi fanno spesso.
Per la mia esperienza, sarebbe più facile partire da una azienda
abbandonata e ricrearla da zero. Un’operazione che è sicuramente
più impegnativa economicamente. In entrambi i casi serve però una
determinazione e un interesse chiaro e consapevole.
Quali sono i punti di forza del progetto?
Ciò che rende interessante questa attività è il grande potere creativo
insito in questo progetto. Credo che ci siano poche altre attività
nella vita umana tanto ricche di creatività quanto quella agricola.
L’agricoltore che guarda al fenomeno della vita dovrebbe avere sicuramente
nozioni di pedologia, di fisiologia di piante e animali, dovrebbe
essere sociologo ed economista. A differenza delle fattorie nel
circondario qui è messa in pratica una grande policoltura che ha
certamente tempi di realizzazione più lunghi. Il risultato è un insieme
di bosco e giardino, al cui interno animali e piante si aiutano a
vicenda. Il frutteto è anche orto. Vi è un sistema alimentare per
anatre e oche al pascolo, che con le loro deiezioni migliorano la
fertilità del terreno, controllano la crescita del manto di svariate
varietà di orticole e di piante azoto-fissatrici. Ogni angolo è piantumato
con essenze adatte alla morfologia e pedologia dei terreni: in questo
modo oltre a migliorare la fertilità e il microabitat, la produzione
complessiva ne risulta decuplicata. Guardando i terreni, la geografia
dei campi a maggese o a grano non cambia. In azienda invece si noteranno
forme sinuose, pacciame, e angoli di ambiente che si insinuano in
ambienti coltivati.
Quali sono i principali problemi che si possono incontrare
portando avanti un’attività di questo tipo?
Innanzitutto dovendo trasformare una fattoria abbandonata o una
convenzionale in una fattoria sostenibile, bisogna tenere presente
che si tratta di aziende impoverite a livello di fertilità. Le specie
animali, come le piante presenti sono, in entrambi i casi, fortemente
conservative anche in una situazione di impoverimento della biodiversità.
Ad esempio i problemi connessi a queste fattorie sono le erbe “infestanti”:
pioniere o a causa dell’uso dei diserbanti.
Infestanti come la gramigna o il convolvolo oppongono sempre una
forte resistenza all’introduzione di un diverso modo si operare.
Uno squilibrio che può sicuramente essere curato con successo con
la permacultura.
E i risultati?
La mia esperienza dimostra che dopo appena 3/4 anni avviene una
forte inversione di tendenza verso l’aumento di biodiversità.
Quali sono le vostre attività?
Abbiamo un laboratorio a norma, che trasforma frutta e passata
di pomodoro e, in futuro, anche verdure. La vendita avviene sia in
azienda, sia in alcuni negozi e mercatini.
Trasformiamo circa 6/7 quintali di frutta. Abbiamo inoltre un ricco
programma di incontri e corsi di vario genere: permacultura non significa,
infatti, solo agricoltura e vendita di prodotti, ma “cultura” nel
senso più ampio del termine. Personalmente tengo corsi di potatura
e arboricoltura presso la Cascina Santa Brera a S. Giuliano Milanese,
presso la Scuola di Pratiche Sostenibili.
A cosa porta una grande varietà di produzione?
Di fronte a cambiamenti climatici, ambientali e quindi di conseguenza
sociali, aziende dotate di grande diversità di produzioni, costituiscono
la sopravvivenza dell’agricoltore. L’esempio migliore in questo senso
è dato da un’antica saggezza contadina, cioè la semina di molte varietà
di piante nello stesso campo, fino a nove cereali diversi. Nove varietà
di ecotipi difficilmente faranno fallire la produzione di fronte
ad eventi meteorici estremi. Mentre la monocultura sia ambientale,
sia mentale risulta sempre più inadeguata ed è forse anche una delle
cause del deperimento ambientale e sociale. È sempre più evidente
che non riusciremo a sopravvivere se il manto sottile che riveste
il pianeta, chiamato “strato fertile”, dovesse restringersi fino
a scomparire: un simile strato è fragilissimo, ma governato con sensibilità
e intelligenza ha enormi potenzialità.
Terrecultura Associazione culturale per lo studio,
la sperimentazione agricola e ambientale, la crescita di un
nuovo rapporto di conoscenza e la fusione dei molti aspetti
dell'esperienza umana, perchè tutti quanti possono aprirci
vasti territori di esperienza e di crescita fisica e psicologica. “Il
passo che l'umanità deve fare subito è GUARIRE DEFINITIVAMENTE
DALL'ESCLUSIVISMO. L'esclusivismo deriva dalla divisione, dalla
separazione: tutti dicono: "Questo sì, ma quest'altro
no". -No, invece: "Questo E ANCHE quest'altro, e
ancora quest'altro,e quest'altro ancora, tutto insieme".
Essere abbastanza duttili e abbastanza vasti per riunire tutto. E' contro questa
divisione che ci urtiamo ad ogni istante, in ogni campo - in ogni campo... La
grande divisione, TUTTI i guai vengono da lì."
dall'Agenda di Mère
RAGAS tende verso l'idea di una nuova agricoltura
in sintonia con l'ambiente, con la città, e l'industria, finalmente
a salvaguardia della dignità dell'uomo e delle risorse naturali,
a nostra immediata disposizione, rinnovabili, semplici, creative.
La scienza moderna ha creato un sistema dove viene impiegato il
massimo per ottenere il minimo; la natura, sempre, impiega il minimo
sforzo per ottenere il massimo con la collaborazione di una quantità
enorme di elementi e così facendo ne fa un sistema chiuso in grado
di autoalimentarsi e rinnovarsi.
Questo è anche il concetto pratico del nostro progetto fattoria:
la scienza della natura applicata in agricoltura e, gradualmente,
a tutte le attività umane.
link esterno
al sommario del numero 233 di novembre di aam Terra Nuova
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